Armando Sichenze “Stelle di giorno” Spazio Cultura Edizioni

Scritto da: Biagio Balistreri, direttore editoriale “Spazio Narrativa”

Non avrei mai immaginato che esistessero angeli con la barba grigia. Ma è evidentemente necessario un angelo per disvelare ciò che non è immediatamente visibile, cioè le “STELLE DI GIORNO”. “Però anche la gente non le vede le stelle di giorno, ti pare?” chiede un giovane che si sta innamorando dell’architettura. E uno dei personaggi principali del romanzo risponde: “Sì, infatti tocca a noi farle scoprire ciò che d’importante ha sotto gli occhi e che non può vedere perché nascosto non dall’oscurità, ma dalla luce eccessiva, confusionaria e chiassosa dei media e di tanti apparati culturali distraenti”. E poi scrive, affinché il giovane abbia una traccia per le sue meditazioni:

“Grazie all’architettura non ci si perde nell’infinito.

NELLO SPAZIO SI ENTRA.

COSE BELLISSIME E LONTANE SI AVVICINANO,

talvolta SI TOCCANO.

COSÌ FINALMENTE LA GENTE PUÒ ABITARLE.”

Per realizzare questo disvelamento, l’autore/angelo/architetto non può che scrivere un romanzo, inteso, secondo la simpatica definizione di Walter Siti, come “autobiografia di fatti non accaduti”. Infatti, mentre l’autobiografia racconta i fatti ‘perché sono accaduti’, il romanzo racconta i fatti ‘perché hanno senso’.

Ovvero, secondo la definizione di Stendhal, Un romanzo è uno specchio che percorre una strada maestra. A volte riflette l’azzurro del cielo, a volte il fango delle pozzanghere.

In particolare, qui ci troviamo di fronte a un tipico “romanzo di formazione”, genere molto diffuso nella letteratura europea, che consente, mantenendo la struttura del romanzo, di inserire ragionamenti e sviluppi che potrebbero costituire materia di saggistica, piuttosto che di narrativa.

Così Armando Sichenze ci conduce, attraverso l’evoluzione della vita di molti personaggi, dall’alba del ’68 – il romanzo inizia a Valle Giulia – fino alla Matera “Capitale della cultura” dei nostri giorni. E qui si ferma, perché neanche a un angelo è dato predire il futuro. Ma si tratta soltanto di una sosta, perché il libro si chiude con la seguente frase:

“Fine. Anzi, no, pausa.”

E noi lettori dovevamo decidere se si trattasse di una promessa o di una minaccia. Purtroppo, ed è un grande dolore, Armando Sichenze non è più fra noi per rispettare la promessa.

Chi, nel ’68 e negli anni immediatamente successivi si trovava a vivere a Roma, conosce bene la natura di quei piccoli “collettivi” che si formarono in giro per la città, sul tipo del PUNTOinC così abilmente descritto dall’Autore, sedi di continue discussioni politiche e speculazioni sulla vita. Nuclei composti da giovani di varia estrazione e di interessi non sempre coincidenti che poi si disciolsero con gli anni, mantenendo però nel tempo fra i diversi partecipanti un legame soprattutto in termini di adesione a pensieri guida determinati in quelle sedi che in varia misura ne condizionarono le azioni e le decisioni. Nuclei caratterizzati soprattutto per una maniera problematica di affrontare le esperienze lavorative, dell’impegno, le scelte da prendere, ma anche le esperienze amorose, sulle quali Sichenze giustamente si intrattiene molto e con piena libertà di accenti.

E chi ha frequentato Matera non può non aver colto nel tempo una particolare sensibilità culturale ma anche più ampiamente “politica” che ne ha sempre fatto un microcosmo capace di attirare personaggi di spicco della cultura e della ricerca sociale ed anche scientifica. E qui Sichenze la presenta come luogo di sviluppo di esperienze di “vita clandestina”, cioè di capovolgimento dei dettami dell’ordinamento consumistico ufficiale, aprendo così il cuore del lettore ad una sia pur cauta speranza.

Ma l’affresco che l’Autore conduce seguendo gli spostamenti dei suoi personaggi è molto più vasto, percorrendo tutta l’Italia e non solo l’Italia, ed è molto godibile anche in relazione agli altri campioni di varia umanità che via via si incontrano e che vengono inquadrati dal racconto puntuale degli eventi storici che favoriscono il crearsi dei diversi microcosmi descritti.

Un racconto complesso, dunque, nel quale la filosofia dell’architettura funge da traccia costante per la descrizione degli avvenimenti, ma anche da filo conduttore dei sentimenti di passione, di amore, di rifiuto e a volte di rabbia, attraverso i quali tutti i personaggi si evolvono.

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