“I mandarini di Ciaculli
Una saga familiare nella Sicilia del dopoguerra”
di Roberto Tagliavia

Scritto da: Fabrizio Sapio

Il profumo riconquistato

Mai come in questi giorni di catture eccellenti  foriere di inquietanti interrogativi, il libro poderoso e avvincente di Roberto Tagliavia si colloca legittimamente al centro di un nodo sociale, e soprattutto culturale, tutt’ora  irrisolto.

I mandarini di Ciaculli (ed Zolfo 2022) si apre con atmosfera da Gattopardo: una villa nobiliare di campagna immersa tra alberi di agrumi (quei mandarini!) e il ricordo di un brano jazz ascoltato nella confortevole quiete domestica. E qui, a mio avviso, si esaurisce il paragone con Tomasi di Lampedusa. 

I mandarini di Ciaculli è un memoir ibrido, un saggio socio-politico mescolato a un’autobiografia, che ci offre una personale storia della Sicilia dal dopoguerra ai nostri giorni, un tempo pieno di pericoli e fermenti, di proposte lungimiranti  e di aneliti di libertà spesso soffocati nel sangue  dal cinico interesse. Un tempo che ha visto l’Autore, discendente di una delle famiglie più in vista dell’imprenditoria palermitana tra Otto e Novecento, costante e acuto osservatore degli ambienti con cui entra in contatto : nella Sicilia “terra dei paradossi”, nell’Emilia che raggiunge un “incantevole equilibrio di un territorio operoso e ben organizzato… tra gente che ti faceva sentire parte di una comunità”, o in una Palermo non più produttiva che “ha voltato le spalle al mare”.

Il respiro concitato della  prima persona cronachistica e autobiografica rallenta, si fa spesso riflessivo, sebbene a volte si trasformi in sospiro per le speranze e le istanze abortite, come nel fremente ricordo di un Pio La Torre “quasi paterno” nei confronti del giovane compagno di partito.

Il racconto, tranne qualche rara digressione, segue in ordine cronologico gli anni di formazione, la maturità e le esperienze dell’Autore, in  capitoli accortamente brevi che incalzano e incuriosiscono. Un moto a spirale si dipana dagli spazi raccolti e stimolanti dell’infanzia, si apre ai luoghi limitrofi e al quartiere con le scoperte della Palermo degradata e affascinante di via Alloro o Santa Maria dello Spasimo, si allarga alla città nuova che sorge e da questa alle esperienze dell’impegno politico nella provincia.

Roberto Tagliavia dimostra  una particolare abilità descrittiva nel ricondurre i grandi movimenti mondiali di giustizia sociale e diritti dell’uomo, alle istanze del quotidiano isolano.”…prevalsero logiche d’ordine, a qualunque costo, ma declinate in modo da sorvolare sugli ambigui legami con ambienti di mafia, usati per far tacere i rivoluzionari e intimidire  gli innovatori.”

Purtroppo, la storia palermitana è marcata da una teoria ininterrotta di spietati omicidi, che hanno decapitato la buona borghesia volenterosa e operosa. Tanti protagonisti, conosciuti nei palazzi dove la politica si faceva e si fa tuttora, sono raccontati con passione esauriente di cause, nella loro evoluzione  sino al sacrificio. Le narrazioni si alternano alle riflessioni che, da palermitano, agitano tuttora la nostra coscienza: ”Ci saremmo dovuti interrogare su come fosse stato possibile che  in poco tempo il capo del governo locale e il capo dell’opposizione e la maggiore autorità in rappresentanza del governo nazionale (perché tale era il prefetto Dalla Chiesa) nonché i vertici della magistratura e della polizia, fossero caduti vittime di così clamorosi attentati mafiosi…E infine, com’era possibile che una città di professionisti, di persone colte e consapevoli, di giovani e donne benestanti potesse convivere così silenziosamente di fronte alla brutale sopraffazione di carriere e meriti da parte di una mafia rozza e brutale?”.

Di fronte a tanta cieca barbarie che rendeva immobile la città, Tagliavia  ha reagito con l’impegno politico, sino all’inevitabile sconfitta:“quando avevo deciso di fare politica anziché acquattarmi nelle pieghe del mio benessere familiare ero consapevole di fare una scelta estrema… erano stati proprio eventi concretissimi ed estremi… a farmi reagire politicamente, lo sdegno civile…”. E più avanti: “E’ difficile capire lo stato d’animo, la tragedia esistenziale che abbiano attraversato quanti di noi avevano fatto la scelta di ispirare la propria vita ai valori della solidarietà sociale, della non competizione, del rispetto delle persone, del loro lavoro, delle loro idee, delle loro differenze; … per realizzare fino in fondo i valori della Costituzione”.

Accantonata quindi la politica dopo anni di militanza, giunge il momento dell’impegno nell’agenzia marittima di famiglia e della contemporanea battaglia giudiziaria per l’eredità Tagliavia, giudicata esemplare della pervasività mafiosa. Vivere a Palermo significa avere sotto pelle una seconda natura, fatta di segnali e gesti minimi, si sente l’odore dolciastro e nauseante del marcio.

Sebbene mi abbia fornito dettagli interessanti, ho trovato meno avvincente la trattazione riguardante i meccanismi interni al Pci siciliano, che danno conto delle cause dei ripetuti fallimenti. Illuminante la chiosa: “Si smarrì il nesso inscindibile tra la lotta per i diritti nel campo del lavoro e la lotta contro l’accaparramento delle risorse economiche e contro i mafiosi”

Questo libro può essere letto come il desiderio di lasciare preziosa testimonianza di una vita e di una vicenda emblematiche:una personalissima cronaca raccontata in modo convincente e puntuale, spiegando cause e atmosfere; o si può leggerlo selezionando capitoli che sono grumi di senso profondo, che travalica storia e cronaca, interrogandosi sulla natura dell’uomo, del suo desiderio di essere e affermare le proprie convinzioni morali, spesso proprio contro quella stessa epoca che, inevitabile e inesorabile, cerca di condizionarlo. Della capacità di interrogarsi, dare conto dei fatti,  e fare sostanza di crescita degli avvenimenti.

Il racconto si conclude circolarmente nel giardino di mandarini riconquistato. Che non ha, lo ripetiamo, l’odore mortifero,dolciastro e vano, del soldato borbonico descritto nel Gattopardo, ma quello tonificante e fresco della vittoria  morale e materiale, della buona battaglia vinta.

Le copertine sono spesso importanti emblemi. Pertanto, ritengo cheil “quadro dell’Ottocento con una veduta di Palermo e delle campagne circostanti vista da Ciaculli, con lo sfondo del Monte Pellegrino”, citato verso la fine, sia l’immagine riprodotta  per esteso nelle bandelle interne spalancate. La stessa immagine che, sotto il titolo in copertina, appare prigioniera di una diagonale claustrofobica e mafiosa.

Roberto Tagliavia ha riconquistato, con impegno civile e morale, il profumo dei “suoi” mandarini, e ce l’ha rivelato in una scrittura densa e coinvolgente.

 

Condividi su: