ABITERAI LA LUCE CHE TI RIPARA

Scritto da: Gabriella Maggio

Beatriz Hernanz affida al suo libro Abiterai la luce che ti ripara – Spazio Cultura Edizioni 2022 – un dolore privato, la morte del fratello e della madre. Dopo una profonda gestazione nel turbinio dello sconforto, la poeta rielabora il dolore e lo compone sulla pagina con quelle parole uniche, e direi assolute, che sole appartengono alla poesia: la parola prima. Il riaffiorare  dei ricordi della madre e del fratello è lento e faticoso, ma la poeta  non può e non vuole dimenticare e si fa archeologa di se stessa e nello scavo trova le parole che annunciano la loro epifania, il ritorno dei cari nella memoria, che è vita che rinasce nella gioia traboccante della scrittura e del tempo ritrovato: c’è uno splendore passeggero, / estremamente imperfetto, / che ha riempito i silenzi della vita. Lo stesso azar vissuto come un ingiustificato agguato esterno diventa positivo: Caso, / restituiscimi i silenzi / il vento triste che disegna il volto / di mia madre, / lo splendore della febbre / che riposa sul mio pianto / il tremore della mano intubata / di mio fratello. La poesia diventa offerta votiva per chi non c’è più e ripara, come dice il titolo, difende, la madre ed il fratello dall’oblio. Nei versi si intrecciano in modo originale piani temporali, luoghi e simboli che  riflettono una condizione irripetibile e in questo modo la poeta ritorna a casa come gli uccelli dopo avere errato a lungo. Il ricordo è ritornare, nostos che si rivela  pellegrinaggio interiore. Nelle diverse tappe dei viaggi di Beatriz Hernanz nel mondo, San Paulo, Siena, Belo Horizonte ed altre, affiorano i contorni netti delle cose che evocano il ricordo dei cari, lenzuola vuote… sogni stirati con maestria… cucina silenziosa. Cielo e mare sono gli elementi naturali ricorrenti, legati a particolari biografici sinteticamente allusi nei versi. La poesia di Beatriz Hernanz  appare  perciò intensa e complessa per il sentimento che le dà forma e per la sedimentazione dei suoi poeti più amati, in particolare Alejandra Pizarnik, su cui si sofferma la prefazione di Caterina Ruta. La lingua poetica di Beatriz, che pure si apprezza nella bella traduzione di Giuseppina Lo Coco, è libera da ogni tentazione comunicativa se non l’affermazione stessa di una mancanza, di un’assenza che sulla pagina diventa incontaminata e assoluta presenza.

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